Passeggio per le vie della città e mi imbatto in un bar chiuso. O meglio, possiamo dire, quello che è rimasto di un bar.
Da fuori non è cambiato molto ma si vede che all’interno non c’è più vita da qualche anno ormai.
Il bancone è ancora lì, così come la vetrina dei gelati e l’arredamento che richiama un atmosfera allo stesso tempo accogliente e informale.
C’è un segno sul vetro, piccolo, quasi impercettibile, ma per qualche motivo riesce a catturare la mia attenzione.

Chiudo gli occhi un istante.
Mi sembra di vedere una giovane coppia che discute su quale colore scegliere per le pareti. Mentre lui continua a scaricare scatoloni dalla macchina lei riesce ad avere la meglio, vada per l’azzurro.
Lavorano intensamente per diverse settimane, quell’anno hanno rinunciato alle vacanze estive per essere pronti per l’inizio delle scuole. D’altronde quella è una zona universitaria, sarà piena di studenti che vorranno fermarsi per un panino.
Passano i mesi ed il bar si riempie di vita. Studenti e lavoratori in pausa pranzo, ma anche mamme con bambini per una colazione o gruppi di amici per l’aperitivo.
I giovani proprietari nei rari momenti di riposo riescono a scambiare due chiacchiere. Sono stanchi ma felici.
In fondo quel bar era il loro sogno ed essere lì insieme in quel momento era la realizzazione dello stesso.
Fuori sta passando una signora anziana con un bambino. Lei lo richiama più volte e questo attira l’attenzione dei proprietari. Il bambino imperterrito continua a tirare i calci ai sassi che incontra lungo la via.
Un sasso, decisamente più grosso degli altri, prende una traiettoria imprevista. Sbattendo contro il marciapiede schizza e finisce sul vetro lasciando un piccolo segno.
Il proprietario si accorge del rumore e si alza di scatto per capire cosa è successo. La signora è preoccupata della sua reazione, mentre il bambino sembra non essersi nemmeno accorto.
Il proprietario vorrebbe inveire contro la signora anziana, incapace di controllare il nipote, ma la compagna lo tranquillizza. È soltanto un piccolo segno, non è niente di grave.
Riapro gli occhi.
Il bar sarà chiuso da diversi anni ormai. Il sogno di quei due ragazzi, per una ragione che non posso conoscere, è in qualche modo finito.
Sulla vetrata c’è ancora un cartello, indossare la mascherina prima di entrare. Noto anche un dispenser di gel igienizzante all’ingresso, probabilmente ancora pieno.
Quando vedo un’attività chiusa non riesco a fare altro che pensare che sia nata grazie alle speranze e ai sogni di qualcuno che ha riposto energie e passione per realizzarla.
Provarci implica anche il rischio di fallire.
Mentre sono ancora lì, rapito dalla mia immaginazione, sento un sassolino colpirmi una gamba. Un bambino cammina con la nonna. Quando si accorge di me si ferma e mi guarda.
Smette di tirare i calci ai sassi e procede mano nella mano dopo che la nonna lo invita a ripartire.
Lancio ancora un rapido sguardo alla vetrina e poi riprendo il mio percorso.
Sono felice che quei due ragazzi abbiano provato a costruire il loro sogno. Credo che per un periodo siano anche riusciti a realizzarlo, sempre che siano esistiti anche al di fuori della mia immaginazione.